Ogni tanto mi diverto a creare
personaggi con la fantasia. È come fare ginnastica, ma per l’immaginazione e usando
come attrezzo una matita. Da uno di questi esercizi è nato Frizzo, piccolo
personaggio che abita in una piccola casa.
Frizzo
Frizzo
s’inginocchiò su una pozza, si bagnò le mani nell’acqua dell’ultima pioggia, e
si rinfrescò il viso. Pensò orgoglioso che quella mattina aveva corso lungo il
perimetro del villaggio più velocemente del solito. Soddisfatto rientrò a casa e
si precipitò nella sua camera. Si liberò
dei panni infangati e si rinfrescò, quindi si diresse all’armadio in cerca di
qualcosa da mettere. Appesi in bellavista trovò un paio di pantaloni e una
camicia nuovi. Appuntato sulla spalla della camicia c’era un biglietto di sua
madre: “Questo è forse il giorno più importate della tua vita. Buona fortuna.”
Frizzo
pensò a quanti sacrifici doveva aver fatto la madre per poter acquistare quei
vestiti. Da quando il padre era perito in missione avevano vissuto con la
misera pensione che passava loro la Compagnia, ma adesso era arrivato il suo
momento. La settimana precedente aveva
compiuto 150 anni, età minima per essere assunto dalla Compagnia dei Cercatori,
e quel giorno doveva incontrare il Gran Capo Cercatore. Certamente la paga base
non era un gran ché, ma gli avrebbe permesso di aiutare la madre e di sposare
Bitta, la ragazza più bella del villaggio. In pochi anni di lavoro alla
Compagnia dei Cercatori avrebbe sicuramente raggiunto l’incarico di Capo
Squadra, come suo padre, e allora le cose sarebbero migliorate. Inoltre
l’incarico di Cercatore gli dava la possibilità di scovare il nascondiglio del feroce
gatto del bosco. Odiava quell’animale con tutto se stesso. Erano passati ormai 50
anni da quel giorno ma Frizzo riviveva tutto come se fosse passata un’ora
appena. Vedeva l’animale balzare fuori dal suo nascondiglio agitando la lunga
coda e afferrare suo padre. Aveva giurato sulla tomba vuota del padre che
l’avrebbe trovato e ucciso. I folletti non dovevano odiare gli altri abitanti
del bosco, ma non poteva farci nulla. Bitta e sua madre avevano tentato di
dissuaderlo più di una volta ma dentro di lui l’odio lo tormentava ancora.
C’erano
voluti 30 anni folletti prima di conquistare la medaglia di Capo Squadra della
Compagnia dei Cercatori, che ora portava con orgoglio appesa al petto. Tutte le
mattine Bitta lo salutava con un bacio prima lasciarlo andare al lavoro, e lui
ricambiava con due baci: il primo a Bitta, e il secondo al loro meraviglioso
figlio che riempiva il suo cuore di orgoglio. Quella mattina alla Compagnia era
arrivato un incarico particolare: la Regina aveva bisogno di aghi nuovi. Frizzo
si era guadagnato la medaglia di Capo Squadra proprio con una richiesta simile,
era stato il primo folletto a portare alla Compagnia dei lunghi aghi d’istrice
e non i soliti aghi di riccio. Si diresse sicuro verso il nascondiglio
dell’animale pensando al regalo che avrebbe fatto a Bitta con la ricompensa per
l’impresa. Stava già tornando sui suoi passi con due grossi aghi in mano quando
vide la coda del gatto del bosco. Immediatamente si riaccesero in lui i
sentimenti di odio che si erano sopiti negli anni passati. Prontamente si
nascose per spiare l’animale. Il feroce gatto del bosco era invecchiato, ma non
aveva perso l’agilità. Afferrò un topino e lo fece vorticare in aria prima di
stringerlo tra i denti. Frizzo lo seguì senza farsi scoprire fino al suo
nascondiglio meditando la vendetta. Pensò che non poteva commettere errori
perché aveva solo due possibilità per colpire l’animale al naso con i lunghi e
resistenti aghi d’istrice. E poi doveva fuggire più veloce del vento.
Al
nascondiglio del gatto c’erano due cuccioli ad attenderlo.
“È femmina!”
pensò Frizzo. Dalle tracce capì che le gazze le avevano rubato dei piccoli e
ora la gatta proteggeva gli ultimi due offrendogli in pasto il suo topino,
ormai morto. I cuccioli provarono solo a cibarsi del topolino, ma erano ancora
troppo piccoli, quindi reclamarono il loro latte. Frizzo osservò la gatta
allattare i piccoli, leccarli e scaldarli. All’immagine dell’animale si
sovrappose l’immagine di Bitta con il loro piccolo tra le braccia. Osservò il
topino inanimato e lo paragonò a sé. Entrambi erano piccoli, erano veloci, erano
cibo. I folletti non devono odiare le creature del bosco, ora finalmente capiva
perché. Senza farsi scoprire dalla gatta ritornò alla Compagnia: quella sera
avrebbe festeggiato con Bitta la ricompensa. Nel suo cuore non c’era più
traccia del sentimento di odio verso il gatto del bosco ma solo la gioia data
dall’amore per la sua famiglia.
Nessun commento:
Posta un commento